Milton Friedman

Milton FriedmanMilton Friedman “Nessun pasto è gratis” «Molta gente vorrebbe che il governo proteggesse il consumatore. Un problema molto più urgente è che il consumatore deve proteggersi dal governo.» L’economista Milton Friedman è il padre del buono scuola. Ovvero del sistema di finanziamento degli istituti d’istruzione basato sulle preferenze dal basso, nella convinzione – sacrosanta – che i genitori sappiano meglio di chiunque altro qual è la scuola migliore cui affidare i loro figli. Lo Stato consegna un voucher alle famiglie, le quali lo girano alla scuola – statale, privata, confessionale, laica, creata da una cooperativa di insegnanti, di genitori o da un imprenditore puro – che ritengono migliore per l’educazione del proprio figlio. Le scuole quindi convertono il buono in denaro contante. Ritenuta un’idea eretica mezzo secolo fa, quando fu lanciata da Friedman, il buono scuola ha conquistato consensi negli Stati Uniti e persino nel Vecchio continente. Considerato il principale esponente della teoria economica del monetarismo – secondo cui le forze del mercato, e non certo gli interventi dello Stato, possono assicurare una crescita senza inflazione – grandissimo teorico del liberalismo e tra i principali difensori del capitalismo “laissez-faire”. Straordinario economista e pensatore, Milton Friedman nasce il 31 luglio 1912 a Brooklyn, da una famiglia ebrea poverissima emigrata dall’Europa orientale alla fine del XIX secolo. Diventato uno dei membri più autorevoli della cosiddetta Scuola di Chicago, nel 1947 fonda, assieme a Friedrich August Von Hayek, Ludwig Von Mises, Karl Popper e altri, la Mont Pèlerin Society, associazione composta dai più eminenti esponenti liberali del mondo con funzione di “Roccaforte del Liberalismo” in un periodo dominato da idee per lo più stataliste. Nel 1963 dà alle stampe, assieme ad Anna Schwartz, “La storia monetaria degli Stati Uniti – 1867-1960”, uno dei più importanti studi di storia monetaria mai realizzato, anche secondo chi, come Paul Samuelson e James Tobin, ha sempre espresso opinioni opposte sia in economia che in politica. Un celebre capitolo di quest’opera è dedicato alla crisi del 1929, evento cruciale per l’evoluzione delle idee in senso statalista che hanno dominato il ventesimo secolo. Le analisi di Friedman & Schwartz furono rivolte a confutare le tesi keynesiane che descrivevano tale crisi come un fallimento del mercato. Friedman dimostra, dati empirici alla mano, che in realtà quella crisi non fu l’effetto di una carenza del mercato, bensì di un preciso errore commesso dalla Banca Centrale americana, oltre che della sua politica restrittiva e deflazionistica. Così, secondo la complessa e dettagliata analisi di Milton Friedman, quella che aveva tutte le caratteristiche di una normale crisi ciclica, si trasforma, per colpa di un ente di governo (monetario in questo caso) nella più grave depressione economica dell’era capitalista. Coerentemente con queste posizioni Friedman fu in seguito un implacabile accusatore del Welfare State, che nella sua ottica è solo una forma di assistenzialismo di stato, più costosa di quanto in realtà sia utile. Il “Liberanimus: centro di studio del liberalismo e della cultura liberale” in un articolo su Milton Friedman sapientemente sintetizza: “Secondo tale concezione paternalistica della povertà, lo stato (e non la persona) individua alcuni bisogni ritenuti “essenziali” e si assume di offrire, spesso in condizioni di monopolio, i relativi servizi all’intera collettività. Tale modo di affrontare la povertà fondato sulla redistribuzione in natura si rivela inefficiente, dato che, violando la libertà di scelta dei beneficiari, ottiene, a parità di costo, un risultato inferiore dal punto di vista del benessere di questi ultimi. Se a questo si aggiunge, sia che il costo dell’assistenzialismo grava su tutti (anche sui poveri), mentre i benefici vanno spesso a chi non ne ha bisogno, sia il fatto che i servizi resi sono spesso assai insoddisfacenti, invece di ritrovarci garantita una “uguaglianza di accesso” a servizi pubblici essenziali, ci ritroviamo in presenza di una “ineguaglianza di uscita” dall’inefficienza pubblica: solo i benestanti, infatti, possono permettersi di pagare due volte gli stessi servizi, optando per la fornitura privata. Ma si sa che il vero scopo del Welfare State non è quello di aiutare i meno abbienti, ma quello di “ingrassare” politici, burocrati, sindacalisti e profittatori assortiti che vivono alle spalle dell’industria dell’assistenza pubblica. Tra le idee alternative al Welfare State (idea peraltro assai discutibile) Friedman ha proposto l’imposta negativa (1962). Secondo tale idea, si individua un break-even point, in corrispondenza del quale non si pagano imposte. Invece che non pagare nulla al di sotto di tale cifra, Friedman propone che ai percettori di redditi inferiori a detta cifra lo stato assegni una somma equivalente a una percentuale della differenza esistente fra reddito minimo e reddito percepito. Tale redistribuzione in moneta, anziché in natura, farebbe salva la libertà di scelta dei beneficiari: lo stato non tratterebbe più i poveri come se fossero degli incapaci che non sono in grado di valutare da sé i propri bisogni, ma come individui responsabili. Inoltre, il sistema sarebbe immune dagli effetti regressivi attuali e, soprattutto, vedrebbe sottoposta alla disciplina del mercato e alla concorrenza la fornitura di quei servizi sociali di cui i cittadini hanno maggior bisogno”. Premio Nobel per l’Economia nel 1974, Milton Friedman fu ispiratore di quel progetto politico che, a partire dagli anni ’60, porterà Ronald Reagan prima al Governatorato della California nel 1968, e poi alla Presidenza degli Stati Uniti nel 1980. Milton Friedman muore a San Francisco, a causa di un arresto cardiaco all’età di 94 anni, il 16 novembre 2006. Tra i suoi molti libri ricordiamo “Capitalismo e Libertà” (1962), “Dollari e Deficit” (1968), “Per il libero mercato” (1971) e “Liberi di scegliere” (1980), quest’ultimo scritto insieme alla moglie Rose.

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