da IL SUSSIDIARIO di venerdì 10 ottobre 2014
http://www.ilsussidiario.net/News/Educazione/2014/10/10/SCUOLA-La-ricett…
EDUCAZIONE
SCUOLA/ La ricetta di Confindustria parte dal basso e batte il piano Renzi
Luisa Ribolzi
I “cento punti” del documento L’education per la crescita presentato da Confindustria il 7 ottobre richiamano i “dodici punti” che riassumono le 126 pagine della “Buona Scuola” presentata dal governo lo scorso 3 settembre, e anche se il lavoro di Confindustria risale molto addietro nel tempo, e la quasi coincidenza è abbastanza casuale, un confronto è inevitabile, a cominciare dalla grafica, sobria e tradizionale in un caso, sbarazzina e programmaticamente accattivante nell’altro. La procedura adottata dalle due parti in causa è profondamente diversa: per usare il linguaggio degli studiosi di organizzazione, nel primo caso è bottom up, e nel secondo top down.
In altri termini, Confindustria ha proceduto raccogliendo le esperienze delle imprese e delle associazioni (riportate in quasi 140 pagine alla fine del testo), ed elaborando a partire da queste, in successione, un documento integrato dai pareri degli operatori, degli esperti, delle persone variamente coinvolte, fino ad arrivare ad una proposta passabilmente organica. Il governo ha lavorato elaborando con i suoi organi principali, il presidente del Consiglio e il ministro, che ringraziano i sottosegretari, i dirigenti, i presidi e tutte le persone che hanno partecipato ai “cantieri” (proprio quelli dove un tempo si costruivano le case di mattoni…), e ne hanno fatto una proposta sulla quale si è aperta la discussione sul web.
Da un lato, si parte dai fatti, per frammentari e tentativi che siano, dall’altro dalle “analisi e riflessioni”: ad esempio, si parla in astratto di “servizio civile per la scuola” citando la possibile presenza di dipendenti di azienda, mentre gli industriali di Udine citano “14 istituti con 1439 studenti che hanno partecipato a 37 incontri con 37 tecnici di 24 aziende su 17 argomenti diversi”. Quanto alla consultazione del Miur e alle aspettative salvifiche che suscita, mi restano non poche perplessità: il ministro Giannini al convegno di martedì parlava di una grande partecipazione, fra questionari compilati e suggerimenti pervenuti, ma se saranno veramente molte decine di migliaia, da un lato non sarà facile farne un’analisi e tenerne conto in modo non episodico, e dall’altro si creeranno non pochi problemi. Se, poniamo, l’80 per cento dei contributi affermasse che il piano di assunzione dei 150mila precari è da cestinare, che cosa farebbe il Governo? Dovrebbe ammettere di avere scherzato o nel promettere le assunzioni o nel promettere di sentire i pareri di tutti. La “democrazia del web” oltre che una frase fatta può essere anche un rischio (mi limito a citare la consultazione sull’abolizione del valore legale del titolo di studio).
Il modo in cui viene trattata la “questione insegnante” mi pare un altro indicatore della diversità di approcci tra cui, sia chiaro, ciascuno può legittimamente scegliere quello che preferisce): il punto di partenza della Buona Scuola è la necessità di stabilizzare il corpo docente, pena l’impossibilità di realizzare politiche di formazione e miglioramento dell’insegnamento, mentre l’associazione degli imprenditori parte dall’affermazione che gli insegnanti e la dirigenza sono i “fattori chiave che fanno la differenza con riguardo alla qualità e all’efficacia dell’insegnamento”, e quindi si dovrebbero evitare le “derive impiegatizie”.
Se il titolo recita “assumere tutti i docenti di cui la buona scuola ha bisogno” il contenuto smentisce le premesse, o quantomeno costituisce un brillante esempio di quel wishful thinking (pio desiderio, per chi non possegga quella conoscenza basica dell’inglese che si fa ancora desiderare nella nostra scuola) che caratterizza molte delle politiche educative non solo recenti. La buona scuola è una scuola che opera in base ad un progetto, non una scuola governata dal caso, come rileva nell’introduzione il documento di Confindustria, e un progetto si costruisce con docenti – e dirigenti – qualificati, motivati e scelti dalle scuole in base ai propri obiettivi educativi, e non assunti solo perché sono in coda. Tra l’altro, la maggior parte delle ricerche dimostra che più lunga è l’attesa, più diminuisce la motivazione.
E’ certamente possibile usare la scuola come serbatoio per l’impiego dei laureati disoccupati, controllando e tensioni sociali, ed è stato fatto in passato: ma per costruire la buona scuola non si parte dagli insegnanti di cui si dispone riciclandoli in qualche modo (grazie, bisogna dirlo, alla disponibilità della maggior parte di loro) con una tecnica che Lévi-Strauss definirebbe di bricolage, ma al contrario si deve decidere di quali e quanti insegnanti la scuola ha bisogno, formandoli adeguatamente e dando loro un contratto di lavoro che li incentivi a migliorare.
Dopo aver criticato l’eccessivo spazio lasciato alla “questione” insegnante dal documento sulla Buona Scuola, e in parte anche da L’Education per la crescita, ho commesso lo stesso errore ed ho occupato gran parte dello spazio parlandone io stessa. Del resto, è un punto cruciale, perché può esserci una buona scuola solo se ci sono dei buoni professori: anzi, con dei buoni professori, ogni scuola diventa prima o poi buona, tanto è vero che nonostante la normativa in Italia esistono molte buone scuole fatte da buoni docenti e dirigenti. Nonostante la normativa!
Sarebbe meglio che lo fossero grazie alla normativa. Poiché ho giocato tutto il mio intervento sulla differenza degli stili, vorrei concludere paragonando due frasi: gli imprenditori si dichiarano disponibili a partecipare ad un percorso “che sarà necessariamente lungo e faticoso, ma necessario”. Il governo propone co-design jams, barcamp o world cafés… Mi arrendo: quarant’anni di lavoro sulla scuola mi hanno lasciata impreparata. Prego i lettori del sussidiario di guardarmi con quel minimo di pietà che si riserva ai derelitti e ai marginali, tanto più che ho intenzione di chiedere ulteriore spazio per tornare su due temi che mi paiono cruciali: l’istruzione superiore e il settore paritario.